Non è vero che non siamo stati felici di Irene Salvatori
"non è vero che non siamo stati felici./ Lo sei stato ogni volta/che un occhio fissava deciso/ a negare o ad imprendere. Ogni volta che ho avuto bisogno di te mi sono ripetuta questa frase. Avevi incorniciato la poesia, era sopra il tuo comodino, ma l'ho presa e me la sono portata via, ovunque."
Con una citazione di una poesia di Fortini ha inizio questo libro che, preciso subito, non è un romanzo, ma è un discorso, una telefonata oltre che internazionale, fuori emisfero proprio! Prendete questo libro e iniziate a leggerlo con l'attenzione che dareste all'ascolto di un dialogo; ad un dialogo che diventa (da subito) intenso, forte, duro, ed al tempo stesso divertente. Fatevi trascinare dalle parole, dalla punteggiatura, dai concetti, dalle frasi e dal racconto.
Non sarà affatto difficile riuscirci, perchè Irene Salvatori sa usare le parole in maniera magistrale, le porta e le fa andare dove vuole. Sarà perchè è una traduttrice, sarà perchè ha imparato a far cambiare lingua ai testi che le vengono assegnati, sarà perchè quel che racconta è così intimo che diventa, parola dopo parola, pagina dopo pagina, facilmente riconoscibile.
A momenti è un fiume in piena, in altri no. L'autoironia non manca, anzi direi che è centrale. Per raccontarsi, parlare del proprio percorso di vita, occorre ironia. Aiuta a vedere meglio le cose e a dargli una spiegazione più puntuale. Provateci. Non serve la rabbia, non serve il rancore e la Salvatori lo ha capito.
Trovare questa chiave nel dialogo non è stato facile. Irene ha avuto bisogno dell'aiuto di un Capitano Nemo, perchè era schiacciata, si era persa nel bosco e, attraverso un percorso di analisi, aveva bisogno di ritrovare la sua Heimat, il suo punto centrale, la sua casa. Questo dialogo fitto è con la sua mamma di cui è orfana da quindici anni. E' un dialogo aperto, che a tratti aspetta il contraddittorio, che in realtà avrebbe bisogno del contraddittorio. E' una figlia ferita, che sente il senso dell'abbandono, che cerca di costruire quel che è diventata, che racconta alla madre le esperienze vissute fino ad allora in sua assenza. Un matrimonio con un uomo che tale non era (uno scarafaggio); il suo essere madre di tre bambini Gaugin, Scoiattola e Caravaggio i loro soprannomi; il suo peregrinare da un luogo ad un altro alla ricerca del suo Heimat; il suo voler essere ancora figlia, mentre il suo ruolo è quello di mamma. Forte il senso di inadeguatezza, forte la voglia di reagire, sicuramente un modo per affrontare il dolore, per farlo proprio, per accoglierlo.
"tra i libri di scuola mi sono persa a risalire il fiume del tempo e sono arrivata indietro, indietro che mi sono trovata seduta con Foscolo in mano. Anche Ariosto mi guardava, ma ero sola e Ariosto è una lettura a voce alta, invece Foscolo. Diobonino Foscolo sei te, a ogni verso sento la prof di liceo che mi rincorre per casa col libro in mano e declama, interpreta. Ascolta, ascolta, dicevi."
La costruzione del libro accompagna il discorso, non lo interrompe, non lo divide. Fa in modo che il lettore possa prendere respiro, perchè si tratta di una narrazione viscerale, parte dall'interno, recide e ricuce. I paragrafi iniziano con la minuscola, finiscono senza alcuna punteggiatura (esattamente come accade in un dialogo) ed alcuni contengono un interrogativo a cui potremo forse trovare la risposta andando avanti, o forse no! Non sono tanto gli eventi ad essere raccontati, ma l'effetto che un tal evento ha avuto sulla nostra voce narrante.
I riferimenti letterari e musicali non mancano e non possono mancare. Irene è cresciuta così, in mezzo ai libri, in mezzo alle parole; e non poteva non vivere di letture, conoscendo a fondo scrittori, traducendoli, lavorando con le parole, rincorsa da una madre che non ammetteva debolezze, che pretendeva rigidità dai figli e, per questo la sua assenza, ha rappresentato una rottura, una perdita di equilibrio.
Lasciandosi prendere dalle metafore, dalle similitudini, da ricordi raccontati in un modo così delizioso che non si può fare a meno di sorridere, si acquisisce la consapevolezza di come la Salvatori abbia voluto trasferire al lettore (e lo ha fatto pienamente) una sorta di percorso che occorre fare, qualora la pesantezza del distacco non sia stata in alcun modo attenuata dal tempo.
"ho consegnato l'ennesima traduzione, ho fatto tutto quello che dovevo fare... stavo sulle pagine del libro in polacco come sulla riva di un fiume. Tenevo ferma la mia barchetta stringendo la cima in una mano e aiutavo con l'altra le parole a salire per benino, senza spaventarsi. Dovevo prenderle una per una con la punta delle dita."
Molti i riferimenti letterari ma interessanti anche i passaggi relativi al lavoro di traduttrice che svolge la Salvatori, alla ricerca del giusto equilibrio tra la lingua con cui un libro nasce e quella a cui deve arrivare. Non avevo mai visto sotto questo punto di vista il lavoro della traduzione.
Irene Salvatori è nata a Forte dei Marmi (LU) nel 1978, ha studiato a Cracovia e vissuto a Berlino. Si è laureata a Pisa in Storia Contemporanea, traduce letteratura dal polacco e dal tedesco. Vive in un paesino sulla Loira, con i tre figli e due cani ungheresi. Oltre a questo libro, pubblicato da Bollati Boringhieri nel 2019, di cui vi ho parlato e non smetterei mai di parlare, scrive poesie. Ha vinto il Premio Donna Scrittrice Rapallo "Premio Opera Prima" nel 2020.
In una intervista con Claudia Borzi, libraia attentissima e ideatrice di tanti format, di cui metto il link qui si è definita, non scrittrice o traduttrice, ma lettrice. E spesso suggerisce ottime letture così come potrete ascoltare nell'intervista.
In Non è vero che siamo stati felici scrive: "Ci sono scrittori che come dei maghi muovono tutto con le mani e riescono a stare leggeri dentro quella grazia. Forse scrivere è come avere le galline in giardino e guardarle dalla finestra, dopo aver costruito la loro casa, averle difese dalle volpi, dal freddo, aver dato loro da mangiare, aver pulito tutto, è guardarle muoversi dopo tutta la cura che hanno ricevuto. Stare in giardino, zampettare, esistere. Ci sono scrittori che hanno un qualcosa che funziona come funziona volare." Ecco. La sua scrittura, secondo me, fa volare, fa capire che se si è stati felici bisogna ricordarlo e dirlo, fa sentire a casa, in una casa dove può accadere di tutto: ridere, arrabbiarsi, discutere, ricordare, ascoltare, parlare.
Vi ho elencato tutti i motivi per cui bisogna leggere questo libro e vi ho anche indicato le modalità con cui, secondo me, bisogna approcciarsi alla lettura. Non ci sono controindicazioni e vi assicuro che arriverete ai ringraziamenti finali ridendo e continuerete a ridere leggendoli.